martedì 6 maggio 2014

Aggiornamento sui grassi trans

Articolo pubblicato sul quotidiano scientifico 'La Scuola di Ancel'
Riproposto in questo blog dallo stesso autore.

Come si è spiegato in un precedente articolo, i grassi trans (TFA o trans fatty acids) sono usati abbondantemente dall’industria alimentare per migliorare, tra le altre cose, consistenza, morbidezza e conservazione dei prodotti destinati al consumo umano. La loro comoda presenza non è però priva di effetti collaterali per l’uomo, potendo determinare un peggioramento del profilo lipidico del sangue (aumento del colesterolo LDL, riduzione dell’HDL, aumento dei trigliceridi) e un aumento del rischio di malattia cardiaca1.
Il mondo medico scientifico ha quindi chiarito che si tratta di ingredienti dannosi per la salute e alcune nazioni si sono prontamente mosse riguardo a queste presenze indesiderate.
Uno dei primi paesi a prendere provvedimenti legislativi è stato il Canada che, sulla base di dati allarmanti sui consumi di TFA, ha istituito dal 2003 al 2007 un quadro normativo. L’obiettivo era quello di ridurre il contenuto di TFA nei grassi alimentari, nei cibi in generale e fornire chiare indicazioni in etichetta sulla loro presenza2.
Anche gli Stati Uniti hanno assunto iniziative per la riduzione dei TFA, indicandone dal 2006 il contenuto in etichetta, per poi arrivare nel 2013 alla posizione della Food and Drug Administration (FDA) volta alla loro esclusione dagli ingredienti alimentari ammessi.
Degne di essere menzionate anche le posizioni dello stato della California e della municipalità di New York che hanno posto limiti molto severi sul contenuto di grassi trans, escludendoli non solo dai cibi confezionati, ma anche dai locali dove si somministrano alimenti.
Nei paesi europei la situazione sulle informazioni nutrizionali è ancora in via di definizione, mentre si evidenziano i lodevoli esempi di legislazione nazionale della Danimarca che, nel 2007, ha posto un limite di grassi trans pari al 2% del peso dei prodotti, seguita da Austria e Svizzera nel 2009 e da Islanda e Svezia nel 2011.
Le linee guida nutrizionali più recenti sono tutte orientate a una riduzione dei TFA nell’alimentazione umana. Si vedano ad esempio le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS/FAO) che fissano livelli di assunzioni di grassi trans inferiori all’1% del totale delle calorie giornaliere, oppure quelle dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) che consiglia di ridurli al minimo possibile.
Riguardo all’Italia, la situazione appare meno definita. Il Regolamento UE 1169/20113, che riguarda l’etichettatura degli alimenti, non prende una posizione in merito alle informazioni in etichetta sul contento dei TFA nei prodotti alimentari. Tale normativa si limita a posticipare al dicembre 2014 la presentazione da parte degli organi competenti di una relazione sulla presenza di questi grassi negli alimenti e nella dieta della popolazione dell’Unione Europea. Purtroppo questo si tradurrà in ulteriori ritardi da parte dei legislatori riguardanti l’obbligo di fornire informazioni ai consumatori sulla presenza di ingredienti riconosciuti nocivi per la salute.
Fortunatamente i LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana — revisione 2012), ben noti ai professionisti impegnati nella nutrizione umana, sono aderenti alle indicazioni medico scientifiche e specificano di limitare al minimo possibile la presenza di TFA nell’alimentazione. È bene ricordare che i cibi ricchi di grassi trans sono tipicamente i prodotti confezionati, come ad esempio le merendine, le patatine, i pop corn e i cibi da fast food (patatine fritte, bomboloni…), e le fritture in generale.

Testo originale:
http://www.lascuoladiancel.it/2014/05/05/aggiornamenti-sui-grassi-trans/http://www.lascuoladiancel.it/2014/05/05/aggiornamenti-sui-grassi-trans/

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