sabato 23 marzo 2013

Se sei grasso son dolori (reumatici)!


Spesso si sente consigliare il dimagrimento alle persone sovrappeso e obese per ridurre problematiche osteo-articolari per motivi prettamente meccanici, ovvero troppo carico sulle strutture deputate a sostenere il corpo divenuto troppo pesante.
Poco o nulla viene invece detto sul fatto che il grasso sia a tutti gli effetti un produttore di sostanze pro-infiammatorie e che, numerosi studi hanno fatto emergere relazioni tra alcune di queste sostanze e le malattie reumatiche. Le responsabili sono molecole che rientrano nella famiglia delle adipochine, nome che fa intendere che il loro luogo di origine sia appunto l’adipe o grasso. L’azione delle adipochine avviene invece in diverse parti dell’organismo e può essere negativa, quando vengono rotti gli equilibri che le regolano.
Nel caso in oggetto, la presenza di molto grasso, produce molte molecole responsabili degli effetti negativi a livello delle articolazioni. Tant'è che potrebbero essere anche utilizzate negli esami del sangue, per valutare la gravità di certe patologie reumatiche.
Un motivo in più per perdere non solo peso, ma in particolare grasso!

Conde JScotece MLópez VGómez RLago FPino JGómez-Reino JJGualillo O. Adipokines: novel players in rheumatic diseases.  Discov Med. 2013 Feb;15(81):73-83.

domenica 20 gennaio 2013

Fruttosio e dolcificanti artificiali

Il fruttosio è uno zucchero presente naturalmente nel mondo vegetale ed in particolare nella frutta (da cui prende il nome), mentre il prodotto puro raffinato che si trova in commercio è ricavato (non estratto) da un processo industriale di trasformazioni che partono dall'amido di mais. Difficile quindi considerarlo naturale, lo stesso dicasi per tutti quei prodotti alimentari ricavati da processi di lavorazione e di raffinazione molto spinti.
Ma perché c’è tutto questo interesse dell'industria nei prodotti che rendono dolce i sapore delle cose che ingeriamo? Perché o creano dipendenza oppure aumentano il senso della fame e quindi portano in un modo o nell’altro le persone a mangiare e a consumarne di più.
I dolcificanti artificiali, pur con zero calorie, hanno un effetto ingrassante perché aumentano l’appetito. La correlazione tra uso di dolcificanti artificiali e l'aumento di peso è stata da tempo individuata da diversi studi (1), ma volutamente ignorata dall’industria alimentare nei messaggi pubblicitari.
Il meccanismo d’azione all'interno del corpo umano, riguarda la stimolazione da parte del sapore forte dei dolcificanti di specifiche aree del cervello legate al gusto, ma non di altre deputate alla gratificazione post-ingestione. la stimolazione di queste ultime solitamente si genera con l’assunzione dei cibi e degli introiti calorici. Lo sbilanciamento che si crea invece nel primo caso tra queste due aree del cervello, mantiene alto il senso della fame inducendoci a mangiare ancor più del normale.
Questo argomentazione è tornata alla ribalta perché un recente studio apparso a gennaio su JAMA (2) ha incluso in questa categoria anche il fruttosio - quando utilizzato puro come dolcificante. I ricercatori americani hanno sottoposto a risonanza magnetica al cervello dei volontari mentre assumevano questo zucchero, ed è emerso che le aree che regolano appetito, gratificazione e ricompensa non subivano nessuna riduzione di attività.
Il messaggio nutrizionale che vorremmo comunicare è quello di limitare il sapore dolce aggiunto con dolcificanti, in particolare quelli artificiali ma anche il fruttosio e il saccarosio (zucchero bianco o di canna). Continuiamo invece a consumare gli zuccheri (incluso il fruttosio) naturalmente presenti all’interno di frutta e verdura.

(1) Fowler SP, Williams K, Resendez RG, Hunt KJ, Hazuda HP, Stern MP. Fueling the obesity epidemic? Artificially sweetened beverage use and long-term weight gain. Obesity (Silver Spring, Md.) 2008.
(2) Page KA et al. Effects of fructose vs glucose on regional cerebral blood flow in brain regions involved with appetite and reward pathways. JAMA. 2013 Jan.

sabato 15 dicembre 2012

Un altro miracoloso prodotto: Chetone di lampone


Ultimamente mi è stato chiesto sull’uso del Chetone di lampone per il dimagrimento. Purtroppo le offerte di nuovi integratori dietetici miracolosi si moltiplica ad un ritmo talmente veloce che è difficile documentarsi con la stessa velocità, ma fortunatamente per noi nutrizionisti la risposta negativa li può accomunare tutti. Non fanno dimagrire chi li assume ma fanno ingrassare le tasche di chi li produce.
Questo Chetone di lampone è passato alla ribalta grazie alla spinta pubblicitaria del dr. Oz che ne consiglia l’assunzione, insieme ad una dieta bilanciata ed esercizio fisico regolare.
Bisogna sapere che si tratta di un composto fenolico utilizzato sin dal 1920 come aroma naturale per cosmetici e attrattivo per insetti ed è estratto in natura da pesche, uva, corteccia d’albero oppure viene prodotto da specifici batteri o anche ottenuto per via sintetica (in questo caso la dizione naturale non si può utilizzare).
Le ricerche scientifiche a supporto dei suoi effetti dimagranti sono piuttosto scarse:
due riguardano studi su topi ed una è stata condotta in laboratorio (in vitro), mentre nessuna su esseri umani.
Uno di questi studi non ha prodotto effetti di dimagrimento nei topi mentre uno più recente si ma riguardava animali nutriti con una dieta particolarmente ricca di grassi. Secondo gli autori il risultato è da ricondurre alla lipolisi indotta dall'incremento di norepinefrina.

Dieta di segnale: la vera rivoluzione alimentare

Pubblichiamo per intero un articolo del dott. Luca SPECIANI sulle diete di segnale, ovvero i regimi alimentari e comportamentali che non si avvalgono di una mera restrizione calorica (di effetto rapido ma non duraturo) ma dei segnali metabolici che mirano a riportare l'essere umano al suo naturale stato di benessere: una magrezza tonica e senza deperimento.

Il sostanziale fallimento di tutti i regimi dietologici più conosciuti è sotto gli occhi di tutti. L'epidemia di obesità nei paesi industrializzati (ma ormai anche in quelli emergenti) sta assumendo proporzioni smisurate. La colpa, si sa, è di stili di vita sempre più sedentari e di alimenti sempre più raffinati e squilibrati. Le autorità sanitarie raccomandano dunque vita più sana e non meglio precisate diete "mediterranee", ricche di frutta e verdura, ma anche di pane e pasta, di formaggi e di carne o pesce nella misura in cui chi ne parla sia più o meno tendente al vegetarianesimo. La salubrità generale di una dieta completa e variata nell'individuo magro e sano non è in discussione. In discussione è il fatto che una tale dieta possa far perdere grasso a chi sia in sovrappeso: il dato è smentito dai fatti.

domenica 11 novembre 2012

Scegliere i giusti rapporti...


Prendiamo spunto dalla ‘Conversazione Scientifica’ dei giorni scorsi a Forlì della dott.ssa Carla Ferreri (primo ricercatore CNR, direttore R&D Lipinutragen srl), nella quale evidenziava come il rapporto dei grassi omega 6/omega 3 introdotti con l’alimentazione sia cambiato nel corso degli anni.
Ricordiamo che gli omega 6 e 3 sono acidi grassi fondamentali per la nostra salute e devono essere introdotti con l’alimentazione. Possono essere di origine animale o vegetale ed attualmente il loro rapporto ottimale è individuato in 4-5 omega-6 e 1 omega-3.
Le ricerche scientifiche – estrapolate tra gli altri dagli studi di Simopoulos e dalla banca dati Lipinutragen – indicano che l’essere umano ai tempi del paleolitico si nutriva con alimenti che nel loro complesso davano un apporto di omega 6/3 in una proporzione di circa 1/1. Questo rapporto ha accompagnato la nostra alimentazione fino al ‘900 inoltrato, tralasciando la crescita significativa del consumo di grassi saturi a partire dall’industrializzazione del 1800, di cui ci occuperemo in un articolo a parte.
Attualmente negli USA questo rapporto è di 17:1 e in Europa 15:1, mentre in Giappone 4:1. Purtroppo la sproporzione di omega 6 è anche correlata a diverse patologie di carattere autoimmune e infiammatorio.
Anche le membrane cellulari dei globuli rossi mostrano un rapporto di Omega6/3 ottimale che si trova nell’intervallo 3,5 -5,5 e anche questo dato indirizza ad un cambiamento delle attuali abitudini alimentari (come anche indicato dalla Lipidomica).
Non vogliamo comunque dare un messaggio sbagliato che demonizzi gli omega 6 (ricordiamo che sono indispensabili), ma invece bisogna riappropriarsi di un rapporto di grassi amico delle nostre cellule e della nostra evoluzione biologica. Quindi in quest’ottica, qualche indicazione generale non esaustiva include la riduzione di salumi, snack dolci e salati, olii di semi di mais e girasole e incremento di pesce azzurro, verdure di stagione crude e in particolare cotte, noci, olio extravergine d’oliva.

Bibliografia: A.P. Simopoulus, Evolutionary aspects of diet, the omega-6/3 ratio and genetic variation: nutritional implications for chronic diseases. Biomed & Pharmacotherapy, 2006

domenica 21 ottobre 2012

Le bevande zuccherate fanno ingrassare, lo dicono anche i ‘geni’.


E’ ormai nota l'interazione tra i geni e la dieta che prende il nome di nutrigenetica,
E’ importante chiarire che una volta scoperte la propria genetica, si può fare molto per evitare alcuni fenomeni negativi, attraverso una giusta prevenzione alimentare.

Visto il grande interesse in questa nuova disciplina, la Commissione Britannica per la Genetica Umana (HGC) ha stabilito alcune regole tra le quali il fatto che le variabili genetiche siano clinicamente validate. In quest’ottica, diffondiamo i risultati di uno studio apparso sul New England Journal of Medicine su possibili legami genetici tra adiposità e consumo di bevande zuccherate. 
Questa ricerca ha riguardato un alto numero di individui (oltre 10.000) e i risultati ottenuti confermano che l’associazione genetica con l’adiposità correla positivamente e in modo significativo con il consumo di bevande zuccherate.
A livello glicemico sappiamo che le bibita zuccherate sono tutt’altro che innocue. Il loro contenuto di zucchero per bevanda, pari a circa 2 bustine di zucchero, scatena una risposta insulinica verso l’immagazzinamento di grasso. Questo segnale agisce quindi anche sui geni deputati all’accumulo che vengono stimolati a esprimere maggiormente la loro funzione: accumulare grasso.

Bibliografia: Sugar-Sweetened Beverages and Genetic Risk of Obesity. N Eng J. of Med. October 11 2012.

mercoledì 17 ottobre 2012

Si fa presto a dire 'grassi' .... meglio farlo con la Lipidomica

Pubblichiamo il testo dell'incontro medico-scientifico sulla dinamica degli acidi grassi tra alimentazione e cellula. Tutti gli interessati sono invitati.